Cos’è la Malattia di Huntington
Il Morbo di Huntington è una patologia genetica rara che colpisce il sistema nervoso centrale. In passato era detta Corea di Huntington, dal termine greco “χορεία” che vuol dire “danza”. Questa definizione era legata ai movimenti involontari e bruschi che caratterizzano la malattia, che possono coinvolgere arti superiori e inferiori, ma anche viso e tronco. Attualmente, medici e specialisti preferiscono ricorrere al termine generico “malattia”, poiché i sintomi del morbo non includono soltanto i tipici disturbi del movimento. Questa patologia è provocata dalla presenza di un gene difettoso, ereditato da uno dei due genitori, ed è caratterizzata dalla progressiva degenerazione dei neuroni presenti in determinate aree del cervello.
Il danno cerebrale tende a peggiorare col tempo, finendo per compromettere le capacità cognitive dell’individuo (la consapevolezza, la percezione, il pensiero e il giudizio), il comportamento e il già citato movimento. Generalmente, la morte del paziente è dovuta a cause secondarie, quali polmonite, grave insufficienza cardiaca o altre infezioni.
Epidemiologia
In genere, il morbo di Huntington si manifesta in età adulta, tra i 35 e i 50 anni d’età. Più raramente, compare prima dei 20 anni (5% dei casi) o una volta superati i 55 anni. Colpisce in maniera simile gli uomini e le donne. Chi ha familiari malati può ereditarla. La patologia tende a peggiorare nel corso del tempo. La comparsa dei sintomi più severi avviene tra i 10 e i 25 anni dalla comparsa dei primi disturbi. Col passare del tempo, le persone colpite dalla sindrome di Huntington possono perdere la propria autonomia ed aver bisogno di cure infermieristiche a tempo pieno. Nel continente europeo, la malattia di Huntington colpisce 4-6 persone ogni 100.000 individui. Tuttavia, studiosi e ricercatori ritengono che il numero di portatori del gene scatenante, che ancora non manifestano i sintomi, possa essere il doppio.
Alcune aree del pianeta lamentano una diffusione più ampia della malattia: in una singola regione del Venezuela, ad esempio, sono state individuate quasi 20.000 persone con malattia di Huntington, tutte discendenti da una donna cui era stata diagnosticata la patologia molti decenni prima.
Eziopatogenesi
Come accennato in precedenza, il morbo di Huntington è causato da un gene difettoso che si trasmette alla discendenza. Il gene in questione si trova sul cromosoma n.4. Il gene normale produce una proteina detta huntingtina; il gene difettoso, invece, produce una forma di huntingtina tossica, che nuoce alle cellule dei gangli della base e della corteccia cerebrale, causando la morte dei neuroni. Le aree del cervello danneggiate dall’huntingtina sono quelle deputate al controllo dei movimenti, del pensiero e del comportamento. Non sono ancora state chiarite le modalità con cui l’huntingtina difettosa colpisca le cellule cerebrali e i motivi per i quali alcune di queste siano più sensibili di altre. Sembra appurata, invece, l’ereditarietà del morbo di Huntington. Un genitore affetto dalla malattia possiede una copia normale e una copia difettosa del gene. A sua volta, il figlio erediterà soltanto uno di questi due geni. Di conseguenza, avrà una possibilità su due di ricevere il gene difettoso e sviluppare la patologia. Questo modello di ereditarietà è detto autosomico dominante. La definizione “dominante” è legata al fatto che basta un solo gene difettoso per sviluppare la malattia.
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Soltanto nel 3% dei casi diagnosticati non sono presenti familiari con Huntington. Tuttavia, ciò potrebbe essere dovuto alla morte del genitore malato, avvenuta prima ancora che scoprisse la malattia.
Corea di Huntington Sintomi
I sintomi del morbo di Huntington includono:
- movimenti anomali e ripetuti
- problemi psichiatrici
- difficoltà cognitive e comunicative
In genere, i disturbi riconoscibili tendono a manifestarsi intorno ai 35/40 anni. La malattia progredisce abbastanza rapidamente, peggiorando nei successivi 10-25 anni. Segni e sintomi variano da persona a persona e non esiste alcuna progressione tipica. I primi segnali, tra cui gli sbalzi d’umore, i cambiamenti della personalità e i comportamenti insoliti, vengono spesso trascurati o attribuiti ad altre ragioni. Circa la metà delle persone affette dal morbo di Huntington non sanno di essere malate, almeno durante i primi anni. I cambiamenti del comportamento sono i primi a comparire e possono essere rappresentati da:
- irritabilità
- impulsività
- difficoltà a concentrarsi
- incapacità nel gestire situazioni complesse e a sbrigare più compiti contemporaneamente
- periodi di eccitazione alternati ad apatia e depressione
- assenza di emozioni ed empatia
Come accennato poc’anzi, molte persone affette dal morbo di Huntington sviluppano la depressione, con conseguente calo dell’umore, mancanza di motivazione o interesse, diminuzione dell’autostima, disperazione. In una seconda fase, la malattia tende a danneggiare le capacità motorie. Inizialmente, è possibile notare un’accentuazione dei movimenti, detta ipercinesia, quindi compaiono alcuni tic incontrollati sul volto, quali spasmi e smorfie. Inoltre, sono tipici i movimenti ripetuti e irrequieti degli arti. Quanto detto può provocare sbandamenti e cadute. Con il progredire della malattia, i gesti incontrollati diventano più frequenti mentre, in fase avanzata, rallentano in maniera piuttosto evidente (bradicinesia), a causa del progressivo irrigidimento della muscolatura. In questa fase, le persone affette dal morbo tendono ad assumere posizioni innaturali (distoniche). Alla luce di tali difficoltà, inaugurare un percorso di Rieducazione Posturale diventa, quindi, una necessità assoluta, utile a rimandare il più possibile la perdita di tono muscolare, coordinazione, salute ossea e articolare. I problemi di comunicazione e la perdita delle capacità cognitive peggiorano la difficoltà a tradurre i pensieri in parole e a fare un discorso di senso compiuto. La maggior parte delle persone con Huntington tende a perdere peso, pur mantenendo inalterato l’appetito. Nutrirsi diventa sensibilmente più faticoso, a causa della perdita del controllo sui muscoli della gola e della bocca. Inoltre, la mancanza di coordinazione nei gesti può far cadere il cibo e rendere tutto più complicato. La forma giovanile del morbo di Huntington è la più rara. La malattia può manifestarsi in persone con meno di 20 anni. In questo caso, i segni più comuni includono:
- convulsioni
- problemi di movimento, tra cui rigidità, lentezza, contrazioni muscolari improvvise e tremori
- difficoltà nel tenere la penna e scrivere
- rapido calo del rendimento scolastico
Terapia
Ad oggi, non esiste nessuna cura definitiva per il morbo di Huntington. Purtroppo, la sua evoluzione nel corso del tempo non può essere in alcun modo arrestata o invertita. Tuttavia, è possibile gestirne determinati aspetti ricorrendo a logopedisti, terapia occupazionale e rieducazione posturale. In tal modo, sarà più semplice aiutare la comunicazione, migliorare la postura e la deambulazione e gestire le attività giornaliere.
Anche il regolare esercizio fisico è fondamentale nella gestione della malattia, per il semplice fatto che le persone attive tendono a sentirsi meglio, sia dal punto di vista psicologico che fisico. Nelle fasi avanzate della malattia è utile ricorrere a supporti specifici in grado di aiutare le persone con difficoltà di equilibrio e coordinazione. Tra i farmaci indicati, invece, figurano quelli il cui obiettivo è controllare i vari disturbi, con particolare riferimento a quelli psichiatrici e quelli relativi al movimento. Un’attenzione particolare va data all’alimentazione, in modo da evitare una perdita eccessiva di peso corporeo e massa muscolare. In genere, il fabbisogno energetico di un malato di Huntington è più alto rispetto a quello di un individuo sano, in considerazione del notevole dispendio energetico provocato dai movimenti involontari. È possibile che un paziente con Huntington abbia un fabbisogno calorico pari a 5000-6000 Kcal al giorno. Per tale motivo, è importante che il medico prescriva al paziente un regime dietetico che preveda un apporto energetico considerevole, suddiviso in 4 o 5 pasti giornalieri e con l’eventuale aggiunta di integratori alimentari. Va posta molta attenzione anche al consumo di liquidi, in particolare durante la stagione estiva, onde evitare il rischio di disidratazione.
La relazione tra morbo di Huntington e Postura
A livello cerebrale, nella sindrome di Huntington si osserva una lenta degenerazione dei neuroni. Questo decadimento coinvolge dapprima lo striato, quindi altre aree del cervello. Nelle fasi avanzate della malattia, la morte dei neuroni riguarda anche la corteccia cerebrale, provocando una sensibile riduzione del volume dei lobi frontale e temporale. La neuro-degenerazione selettiva dei neuroni GABA dello striato, regione deputata al controllo dei movimenti, giustifica la comparsa delle già citate ipercinesie incontrollate, tipiche della malattia di Huntington. La patologia determina gravi cambiamenti cognitivi, emozionali e comportamentali, associati anch’essi alla graduale estensione della neuro-degenerazione. All’ipercinesia e ai movimenti incontrollati degli arti e dei muscoli del volto, possono via via unirsi altri sintomi gravi, quali rigidità muscolare, perdita di equilibrio, continue contratture muscolari. Alla fase più avanzata appartengono, invece, disturbi ancora più gravi e invalidanti, quali una forte decelerazione dei movimenti volontari, detta anche bradicinesia, e l’incapacità totale di muoversi. Per ritardare il più possibile la comparsa di tali sintomi, si raccomanda di affidarsi ad un fisioterapista esperto: fisioterapia ed esercizio fisico regolare possono aiutare il paziente a conservare forza, coordinazione, salute ossea e articolare.
Il ruolo dell’Esercizio Fisico e della Rieducazione Posturale
L’importanza dell’esercizio fisico nei soggetti sani e patologici è stato abbondantemente
studiato. In particolare, è stata dimostrata l’azione neurotrofica determinata da una più efficiente produzione energetica mitocondriale e dalla riduzione dei meccanismi infiammatori. Pertanto, oggi appare chiaro come l’esercizio fisico costante possa allontanare efficacemente la comparsa dei disturbi motori (in fase presintomatica), permettere il mantenimento delle funzioni residue (durante la fase intermedia) e limitare le complicanze (in fase avanzata). Come avviene nella malattia di Parkinson, anche in questo caso la riabilitazione può aiutare a contenere efficacemente il danno. Studi sulla malattia di Parkinson hanno inoltre dimostrato che un costante esercizio fisico determina il rilascio di fattori neurotrofici, con un conseguente effetto neuro-protettivo. Pur non essendo sostenuta dallo stesso numero di trial clinici, anche nella malattia di Huntington è evidente il ruolo della riabilitazione, sia per quanto riguarda la riacquisizione degli automatismi perduti, sia nel mantenimento delle funzioni residue.
Nonostante la terapia riabilitativa debba rispettare l’evoluzione clinica del singolo caso, generalmente è così composta: durante la fase iniziale della malattia prevede esercizi di mantenimento, quindi entrano in gioco alcune modifiche ambientali domestiche, nonché l’uso di supporti specifici per la deambulazione; la fase più avanzata della malattia è invece caratterizzata da esercizi motori per il controllo del tronco, da esercizi respiratori e da movimenti pensati per sedersi, utili a mantenere la postura corretta e a massimizzare il comfort. Tra le possibili opzioni di trattamento figurano il treadmill, la cyclette, il training su equilibrio/stabilità, lo yoga e il pilates. Attualmente, i punti afferenti la gestione della malattia di Huntington che richiedono uno sviluppo riguardano in primis la necessità di aumentare l’uso della riabilitazione come strategia terapeutica, essendo questa ancora sottovalutata e sotto-utilizzata, soprattutto durante le fasi iniziali, quando potrebbe determinare i miglioramenti più evidenti. Inoltre, vale la pena sottolineare come la gestione e il miglioramento dell’equilibrio siano necessari nell’ottica di una corretta prevenzione delle cadute, in grado di peggiorare la prognosi e obbligare il paziente al ricovero. Gli studi pubblicati finora concordano sul fatto che una riabilitazione multidisciplinare prolungata e avviata precocemente sia assolutamente necessaria, ben tollerata e associata a benefici terapeutici evidenti.